Il concetto di inclusione è diventato centrale non solo in ambito sociale, ma anche economico. Andrea Laudadio, in un articolo su Il Riformista, analizza come il Papa sia diventato l’ultima vittima illustre delle controversie legate all’inclusione, scatenando una discussione su chi realmente guidi questa “Lobby dell’inclusione”.
Secondo Laudadio, all’inizio c’erano solo gli “inclusivisti etici”, che sostenevano l’inclusione per principi morali, ma oggi gli “inclusivisti economici” stanno rivoluzionando il paradigma. Studi di Harvard Business Review, McKinsey, Forbes e Amazon Web Services mostrano che le aziende inclusive registrano migliori performance economiche. Ad esempio, le aziende che abbracciano la diversità hanno ricavi superiori del 19% e un aumento dello 0,8% degli utili per ogni 10% di diversità etnica.
Non è un caso che questi dati provengano dal gotha del capitalismo mondiale, piuttosto che da associazioni LGBTQ+ o gruppi di sinistra. L’inclusione si rivela un motore di performance aziendale e di vantaggio competitivo, creando un ambiente in cui i dipendenti si sentono liberi di esprimersi e innovare. Questo attrae e trattiene talenti, un fattore cruciale per il successo aziendale.
Sul fronte del mercato, l’inclusione migliora la reputazione e la credibilità del brand, aumentando la fiducia e la propensione dei consumatori a raccomandare i prodotti. Circa l’80% dei consumatori preferisce marchi inclusivi e il 70% è disposto a consigliarli.
Laudadio conclude con una riflessione provocatoria: l’inclusione è diventata una necessità economica più che un atto di buonismo. Le aziende, spinte dal mercato, sono costrette ad abbracciare questi principi per rimanere competitive. L’inclusione, quindi, rappresenta non solo un ideale etico ma anche una strategia vincente per il futuro del capitalismo.
Per leggere l’articolo completo di Andrea Laudadio, visita questo link verso Il Riformista.